Da zero a 2022 si perpetua un evento che di cristiano ha poco, ma ci insegna ancora tanto
di Raimondo Giammusso
L’anno zero secondo il calendario cristiano segna una svolta epocale poiché il cristianesimo entra nella società e nella cultura di allora come lo scalpello si insinua nelle venature del legno e del marmo non tanto per romperlo ma per lavorarlo e renderlo più bello. La risurrezione di Cristo è la fine del percorso terreno di Gesù iniziato tra le fredde e umile mura di una casa della bassa Galilea chiamata Nazareth, dove un’ adolescente ebrea aveva progettato col suo promesso sposo Giuseppe di fare famiglia e magari con tanti figli. Ma una calda notte di primavera, mentre riposava, una luce del tutto improvvisa ed inaspettata illumina la piccola stanza di Miryam; la giovane fanciulla si desta improvvisamente dal sonno quasi spaventata. Una voce celestiale la rassicura, la calma dall’agitazione: “carissima Miryam sono un angelo mandato da Dio il quale ti chiede di essere la madre del suo figlio”: Lei stenta a credere che sia realtà ma è tutto vero ciò che sta accadendo; l’angelo le parla di nuovo ma Miryam sta in silenzio poiché è troppo grande la notizia che ha ricevuto. Immagino a questo punto che la giovane di Nazareth avrà detto all’angelo di darle del tempo magari qualche giorno per poterci pensare. L’angelo sarà ritornato da Dio dicendo che Miryam le aveva chiesto del tempo. Sono passati i giorni e l’arcangelo Gabriele sarà ritornato e dopo un breve colloquio con la giovane di Nazareth, quest’ultima avrà detto Sì: prova ad immaginare che gioia in cielo, poiché la storia della salvezza dopo il No di Adamo ed Eva riprendeva il suo corso salvifico.
Ma dopo la partenza dell’angelo, a Miryam sarà venuta la prima difficoltà: ed ora che dirò a Giuseppe?
Giuseppe è un uomo mite, buono, amorevole che ora si ritrova la promessa sposa in attesa di un bimbo che non è il suo. Miryam si fa coraggio e dice a Giuseppe come sono andate le cose: immagino la faccia e la smorfia di Giuseppe, di come sarà stato amareggiato e deluso da Miryam, ma non le vuole far del male ed allora pensa di mandarla via in segreto magari dicendo in giro che lui non vuole più sposarla. Va a letto col tormento di chi è stato tradito ma che nello stesso tempo non vuol far del male. Che fare…..
Spossato si addormenta e nel turbinio del sonno una voce chiarificatrice che lo rassicura; Giuseppe si sveglia e va diritto a casa di Myriam e chiede ai Gioacchino ed Anna di stabilire la data del matrimonio. Miryam guarda attonita Giuseppe, lo abbraccia e lo bacia.
E’ passato del tempo, la gravidanza sta avendo il suo normale corso: manca poco tempo, qualche settimana ancora e il bimbo verrà alla luce: i due iniziano a fare i preparati per la nascita a Nazareth, ma ecco che come un fulmine a cielo sereno un editto dell’imperatore Cesare Augusto stabilisce che bisogna fare il censimento: bisogna farsi registrare nel paese natìo del capofamiglia: Giuseppe ha discendenza davidica di Betlemme e quindi bisogna partire; come partono ancora oggi migliaia di povera gente, come si spostano interi popoli, come le barche di disperati solcano i nostri mari, anche Giuseppe e Maria si spostano dal nord della Galilea al sud della Giudea. Il viaggio è lungo e faticoso: sotto il cocente sole, a dorso di un asino, la piccola Maria in attesa di Gesù viene sostenuta dalla presenza amorevole di Giuseppe, che rappresenta tanti mariti che sostengono le proprie mogli, che non le abbandonano o violentano o uccidono. Questi due sposi dopo un lungo ed estenuante viaggio sono arrivati a Betlemme quando ormai erano calate le luci della sera e Miryam inizia a sentire le prime doglie. Giuseppe ha iniziato a bussare nelle locande e poi nelle case della piccola Betlemme ma nessuno apre; eppure Giuseppe a Betlemme aveva ancora qualche parente ma la solitudine, l’abbandono, il disprezzo è la cena di quella sera per Maria e Giuseppe, i quali si avviano fuori dal piccolo villaggio betlemita per trovare un rifugio. Vedono una di quelle grotte che i pastori usano come rifugio per sé e per i propri animali nelle sere fredde; vi entrano impauriti, infreddoliti e con Maria che già inizia ad avere il travaglio dell’imminente parto. Quella sera la grotta è l’unico regalo che l’uomo fa al Dio creatore. E mentre Giuseppe va in cerca di un po’ di legna che possa riscaldare la sua sposa che lo sta per fare diventare padre, sente un vagito che diventa pianto: è nato colui che era stato predetto dai profeti, colui che Giovanni il Battista aveva annunciato. Giuseppe rimane lì e non proferisce parole: è come se per lui il tempo si fosse fermato, come se il cielo fosse sceso in terra, come se quella grotta lurida e puzzolente fosse diventata la stanza reale più bella del mondo. Con gli occhi lucidi dalla commozione Giuseppe si mette accanto alla sua sposa per riscaldarla assieme al bimbo appena nato. Immagino la tenera scena di questa insolita famiglia che mentre pensa a cosa fare sente un tintinnio di campanellini che si avvicinano sempre più: ed ecco che spuntano degli agnellini e con loro coloro che erano tenuti ai margini delle città , considerati ladri e inaffidabili: arrivano i pastori, gli ultimi. Entrano con in mano ogni sorta di regalo: un pezzo di pane, una pelle di pecora per scaldarsi, un po’ di ricotta, una formella di formaggio, un cesta di frutta. E’ iniziata in quella grotta una festa inconsueta ed inaspettata, semplice ma fortemente umana, non preparata ma sempre pensata. E mentre sono lì tutti insieme a festeggiare, ecco che si presentano 3 uomini in vesti di lusso: Gasparre il tesoriere che offre al bimbo la mirra come dono dell’umanità, Melchiorre il re della luce che dona l’oro, il bene più prezioso degno di un re, ed infine Baldassare che significa Dio aiuterà; egli porta l’incenso, considerato un simbolo divino. Stupore e ammirazione misti al silenzio si confondono nella grotta alla visione di questi 3 misteriosi personaggi, ma il silenzio della vergine di Sion è l’immagine che prende il sopravvento.
Son passati oltre 2000 anni e quella scena oggi si ripete nei presepi nelle nostre case quasi a ricordarci che noi siamo figli di un Figlio che ha sofferto la stessa solitudine di chi ancora, nella notte di natale che aggrega tante famiglie attorno alla tavola imbandita, continuerà a bucarsi o a vendere il proprio corpo sul ciglio di un marciapiede. Questa notte interpella la coscienza di chi ha abbassato le imposte delle finestre per non voler vedere quel bambino inerme che sta in mezzo alla strada al freddo e al gelo della nostra insensibilità. E’ proprio quel bambino il segno della non difesa, dell’indigenza: Dio questa notte ha deciso di spiazzare tutti, manifestando la sua non forza, la sua non violenza. Questo bimbo sua mamma lo ha avvolto in fasce che sono il simbolo del nascondimento di Dio, che velano la sua presenza. Ancora oggi Cristo è avvolto in fasce; sbendarle significa trovare membra sofferenti mai accarezzate, lacrime mai asciugate, solitudini mai riempite, porte a cui nessuno ha mai bussato;
Dio continua a vivere da clandestino, da extra comunitario, da rifugiato di guerra.
Dio ci invita, come lo fece con i pastori quella notte, a lasciare il recinto delle nostre false sicurezze, ad avviarci verso il Dio fattosi bambino che sta vicino casa tua.
Nella notte di natale Dio bussa al tuo cuore con delicatezza; la risposta può essere duplice:
- Condannarlo ancora alla mangiatoia
- Aprire il cuore della mia casa; solo così egli offrirà il gusto dell’essenziale, la gioia di servire, la voglia di cambiare vita.
Solo cosi nella notte di natale potrai gridare con gli angeli: “gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”