Vallelunga rifiuta marchi del passato Rinnovamento nel solco della legalitÃ
di Redazione
Il rombo dei motori in colonna, auto blu con i lampeggianti, il corteo delle autorità. Cose mai viste a Vallelunga Pratameno, come pure la visita di un prefetto, la prima volta a memoria d’uomo, accolto in ‘piazzetta’ Audino e ricevuto in veste ufficiale in municipio. Giunto in paese per sostenere una comunità che ha deciso di rompere con il passato. Se ciò sia accaduto presto o tardi non abbiamo titolo per affermarlo. Ma è accaduto. E la speranza è che sia per sempre.
«Non si torna indietro» dice il sindaco, Giuseppe Montesano e ribadisce la vice, Rosa Izzo, dando l’abbrivio alla chiamata a raccolta che venerdì scorso ha visto in municipio prima e nella saletta polivalente poco dopo, la presenza delle massime cariche provinciali dello Stato. C’era il prefetto, Chiara Armenia, il questore, Emanuele Ricifari, il comandante provinciale dei carabinieri, Vincenzo Pascale e della Finanza, Stefano Gesuelli. Tutti hanno risposto «presente» all’appello lanciato dalla istituzioni locali. Sostegno netto alla scelta di campo di una comunità che prende le distanze. E cu «iddri», con la malapianta, non vuole avere nulla a che fare. Erano più o meno in duecento i presenti alla manifestazione antimafia. Lavoratori, giovani, uomini e donne. Alcuni non hanno forse avuto tempo (o il coraggio) di partecipare. Ma tanti altri hanno scelto di esserci, dando l’impressione che Vallelunga vuole scrollarsi per sempre il marchio di mafiaville e sede del mandamento di Cosa Nostra.
Una parola vale più di mille cannoni. E le parole impresse sui manifestini affissi ai muri della sala erano quelle di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Carlo Alberto dalla Chiesa e Pio La Torre, scolpite nella memoria, lascito di sangue consegnato alle future generazioni da chi ha dato la vita per una Sicilia finalmente libera.
«A loro – dice il sindaco Montesano – è dedicato tutto questo: ai nostri bambini, ai nostri giovani. La storia è cambiata. Vallelunga, da quartier generale della mafia, oggi, grazie alla presenza dello Stato e al forte desiderio di riscatto di tutti noi, diventa il paese della legalità e l’amministrazione comunale, senza alcuna esitazione, ha scelto da che parte stare e svolge quotidianamente il proprio dovere, ispirandosi ai principi di legalità e trasparenza».
Al fianco di Montesano c’è sempre stata la sua vice, assessore con delega alla Legalità, moderatrice e guida dell’evento. Ha introdotto gli ospiti, intercalato interventi brevi e sentiti, costruito lo screenplay dell’evento. Se la manifestazione si è realizzata, parecchio merito è suo. C’era la giunta al completo, il consiglio comunale, con a capo la presidente Letizia Vullo. Una decina di sindaci del comprensorio, da Marianopoli a Valledolmo, da Villalba a Resuttano e diversi amministratori dei ventuno comuni del consorzio madonita Legalità e sviluppo.
«L’amministrazione comunale – dice Montesano – sta lavorando all’utilizzo, per scopi sociali, di alcuni beni confiscati alla mafia. Un importante progetto è già stato finanziato. Una villa, in contrada Ficuzza, con due immobili e 8 particelle di terreno, presto diventerà centro antiviolenza e casa d’accoglienza per donne e bambini in difficoltà, grazie a un finanziamento di 840 mila euro. Il mal tolto diventerà un rifugio per le vittime della violenza di genere. Altro progetto riguarda un edificio confiscato alla criminalità organizzata in via Pascoli. Lo destineremo a centro ludico e alloggi assistiti per soggetti disabili e famiglie».
Non un’Antimafia di facciata ma piccoli gesti e scelte nette, come quelle invocate dal prefetto, che ha richiamato la platea ai principi basilari dell’essere comunità: cittadini rispettosi delle regole.
«Non servono eroi – le parole della rappresentante del Governo – ma persone normali che compiono giornalmente i loro doveri. Non sono qui per insegnare niente a nessuno. Ma una cosa l’ho imparata: svolgere semplicemente il nostro dovere potrebbe essere il modo migliore per onorare le persone cadute per mano della mafia. Falcone e Borsellino non hanno scelto di diventare eroi, hanno solo compiuto il loro dovere. Erano soli, perché in una certa fase della storia del nostro Paese, l’essere dalla parte del più forte era facile, stare dalla parte della legalità e della giustizia era più complicato».
Toccante il ricordo del questore Ricifari, quando, studente liceale, nella sua Catania, fu segnato profondamente dalla notizia dell’omicidio di Giorgio Boris Giuliano, capo della Mobile di Palermo, colpito alle spalle dai sicari della mafia. E dall’uccisione di numerosi altri servitori dello Stato, Ninnì Cassarà, il generale Dalla Chiesa: «Fu allora che affiorò in me il sentimento di voler fare il poliziotto».
«Oggi – racconta – ho l’onore di avere tra i miei amici più cari il figlio di Boris Giuliano, Alessandro, attuale questore di Napoli».
Forti le parole della Chiesa, affidate al vicario generale della diocesi, monsignor Onofrio Castelli.
«La storia può cambiare – afferma il presule – ma ci sono ancora tanti passi da compiere. Dobbiamo impegnarci tutti nel nostro piccolo. Nel nostro stile di vita, nei modi di pensare. Voglio anche sfatare il mito di Robin Hood: la mafia che toglie ai ricchi per dare ai poveri, che dal male possa nascere del bene. Il male non produce mai nulla di buono».
Poi il ricordo di Calogero Zucchetto, agente della Mobile di Palermo, ucciso nel 1982, al quale la città di Gela ha intitolato la strada del commissariato di Polizia. Era di Sutera, «Lillo», vicino di casa di monsignor Castelli.
«La mia famiglia viveva due porte accanto alla sua. Conoscevo Lillo, lo vedevo andare e tornare. Ricordo quando si è arruolato, quando si è fidanzato. E quando arrivò la terribile notizia della sua uccisione. Ha dato la vita per l’assolvimento del dovere».
Tema centrale della manifestazione antimafia è stata la storia, il declino e la rinascita di un antico e ricco feudo, Verbumcaudo, a due passi da Vallelunga; il consorzio di Legalità e sviluppo che lo sta facendo rinascere dopo decenni di controllo mafioso; il libro che ne ricostruisce la storia, scritto da Alessandro Barcellona.
«Questa comunità – dice Vincenzo Liarda, presidente del consorzio Legalità e sviluppo – ci sta mettendo la faccia. Non era scontato. E certamente è un grande merito. Soprattutto oggi, che non va molto di moda parlare di Antimafia, se non per via della strettissima attualità legata alla cattura del criminale Messina Denaro. Il tema è soprattutto culturale. Ognuno deve impegnarsi nel proprio piccolo. Sollecitare l’azione non solo della pubblica amministrazione, ma anche della Scuola, delle famiglie. Ogni persona, ogni comunità è chiamata a dare un contributo. Fare questo soprattutto per le giovani generazioni».
Liarda, assieme all’autore del libro, incontra scolaresche, raccolta la vicenda del feudo, «paradigma della storia siciliana».
Una storia di interessi e prepotenze, beghe e malaffare, mafia e fallimenti (il bene per tre volte è finito all’asta).
«C’è però un circolo virtuoso – racconta Barcellona, l’autore – che inizia nel 1983 e finisce nei giorni nostri. C’è voluto tempo, ma il lieto fine è arrivato. Per la terza volta il feudo era andato all’asta, con il rischio elevato che potesse finire in mani sbagliate attraverso qualche prestanome. La Regione Siciliana, però, interviene, paga il debito alla banca creditrice e il feudo, per fortuna, passa in mani pubbliche. E da queste al consorzio madonita. Da qui, grazie a un bando, viene selezionato un gruppo di giovani che se ne occupa e inizia a renderlo produttivo. È il cerchio che si chiude, una storia a lieto fine. Ho iniziato il mio intervento raccontando l’indignazione che provai all’inizio di questa vicenda. Oggi, dopo aver messo ordine alla ricostruzione storica, vedendo com’è finita, è subentrato in me l’orgoglio. Quella terra calpestata un tempo dalla mafia è tornata a essere di tutti noi».
Al dibattito hanno fornito un prezioso contributo anche Valentina Balbo, gip del Tribunale di Caltanissetta, Loredana Matraxia, dirigente dell’istituto comprensivo di Vallelunga e Marianopoli, Antonello Cracolici e Michele Mancuso, parlamentari regionali, rispettivamente presidente e componente della commissione speciale di vigilanza sul fenomeno mafioso dell’Ars.
«Dopo le stragi, per la prima volta, i siciliani hanno avuto il coraggio di scendere in piazza e manifestare il loro disprezzo nei confronti della mafia e dei mafiosi» afferma durante uno dei suoi incipit Rosa Izzo. Quell’estate ha cambiato le coscienze, dato forza allo Stato e al popolo siciliano.
«Da padre di una bambina di cinque anni – conclude il sindaco Montesano – mi piace ricordare e citare Carlo Alberto dalla Chiesa. ‘Certe cose non si fanno per coraggio, ma per poter guardare più serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei nostri figli’». Vallelunga, adesso, può guardare al futuro con occhi di speranza. Potendo contare sul desiderio di rivalsa dei cittadini. E sul sostegno delle istituzioni.
«Invitateci – le parole del questore Ricifari – verremo, saremo al vostro fianco».
(Nella fotogallery, partendo dall’alto, da sinistra: l’accoglienza del prefetto, davanti al miunicipio; Alessandro Barcellona, Rosa Izzo, Vincenzo Liarda; Stefano Gesuelli, Emanuele Ricifari, Vincenzo Pascale; Giuseppe Montesano; Valentina Balbo, Onofrio Castelli, Antonello Cracolici; Chiara Armenia; alcuni scatti della giornata. Le foto, gentilmente fornite dall’amministrazione comunale, sono di Giuseppe Cappellino fotografo).