Gela, da nove giorni in sciopero al freddo. «Per difendere il lavoro, la casa e la dignità »
di Redazione
L’odore del temporale pizzica nell’aria, questa notte minaccia pioggia. E sul piazzale del palazzo di giustizia spira un’aria pungente. Ma lui non si arrende. Salvatore Comandatore, 65 anni, tre figli, capobarca e guardia ai fuochi e al suo nono giorno di protesta. Lo raggiungiamo allora di cena ma in quella povera postazione di protesta, tra una vecchia auto e due sedie ripiegabili che l’operaio condivide con la moglie, c’è tutta tutt’altra aria che voglia di banchettare. L’uniforme di guardia ai fuochi, la indossa con orgoglio. Ma quasi una settimana e mezza tra catene e scioperi della fame intermittenza lo hanno fiaccato: la divisa un po’ gli cade addosso. «Porto di norma una 46 – sorride Comandatore, barba incolta e volto segnato dai dispiaceri – ma forse questa qui ormai mi sta un po’ larga. Una cosa è certa: io non mi arrendo».
Al suo fianco la moglie, Concetta Brancacci, 59 anni, che ha deciso di seguirlo in questa protesta estrema. Perché in ballo c’è la loro casa che la banca, pur con tutta la buona volontà, non può piùmanteenere. «Dopo 22 anni – racconta la donna – abbiamo accumulato alcune rate non pagate e la banca intende procedere. Rischiamo di ritrovarci in mezzo a una strada. Se mi tolgono la casa, io cosa faccio?»
Comandatore ha perso il lavoro per una contenzioso con l’ex datore di lavoro. Accuse, sentenze. Ma oggi la sua famiglia rischia il baratro e l’operaio non è più disposto a stare in silenzio.
Al suo fianco c’è anche Salvino Legname, presidente dell’associazione Antiracket di Gela, che lo sostiene in questa battaglia. Una battaglia di giustizia. Il lavoratore ritiene di essere stato licenziato ingiustamente, per ben due volte, dal datore di lavoro. Adesso è in attesa di una nuova causa, un pronunciamento del tribunale di Gela, previsto per il prossimo 19 ottobre.
«Tutto è in mano agli avvocati – taglia corto Salvatore – ma io ritengo di essere stato vittima di un’ingiustizia. Per questo protesto». Nei giorni scorsi ha raccolto la solidarietà dei sindacati di tanti amici e lavoratori. Tre di loro, tra cui Comandatore, vennero messi alla porta. Uno ha trovato lavoro nel Nord, l’altro è in pensione. Lui, invece, l’operaio che protesta era rimasto con il cerino in mano e ha deciso di combattere, nelle sedi legali. Ma i tempi della giustizia rischiano di travolgerlo. Da quel giorno, in fondo, spera solo di poter tornare a lavorare, compiere il proprio dovere, maturare gli ultimi anni che lo separano dall’agognata pensione. E, soprattutto, spera di poter difendere la sua casa.
«In questa terra – dice Legname – c’è bisogno di giustizia certa, quanto se non più che altrove. Per questo sono al fianco di questa famiglia. E vi rimarrò fino al termine della protesta».
Nel frattempo un lampo si alza in cielo all’orizzonte, la pioggia sta arrivando. E per Salvatore Comandatore si prospetta un’altra notte dentro all’auto, tra un turbine di pensieri, il primo freddo dell’autunno e le paure per il futuro della sua casa, della sua famiglia
«Io – racconta – nella mia vita ho solo lavorato e cercato di fare sempre il mio dovere. Adesso mi trovo in questa situazione, che ritengo ingiusta. E sono qui a difendere i miei diritti. In questo piazzale, da solo, con l’aiuto di mia moglie che mi è sempre stato a fianco e di qualche amico che ha creduto in me, continuo la mia lotta. Che è una lotta di dignità oltre che di giustizia».