Ecco dove nasce il «vino del papa», viaggio tra i profumi e le tradizioni. «Qui ho realizzato il sogno di una vita»
di Massimo Sarcuno
C’è un modo di dire nel lessico siculo più familiare che viene pronunciato in presenza di un piatto particolarmente saporito o un vino di pregio: «Se lo può mangiare (o bere) il papa». In realtà, che il vinello leggero e profumato di un’azienda di Spinasanta l’abbia sorseggiato veramente il Sommo Pontefice, non lo sappiamo per certo. Ma che un paio di bidoni di Nero d’Avola prodotto a Gela abbiano varcato i cancelli del Vaticano, questo è sicuro!
La storia circolava da qualche settimana negli ambienti della viticoltura locale.
E così, Today24, che alle dicerie preferisce toccare con mano, secondo la scuola di San Tommaso e del «se non vedo non ci credo», a quell’azienda siamo andati a bussare alla porta, scoprendo una storia meravigliosa.
Ci accoglie il padrone di casa, Angelo Arnone, uno che se non fosse per i capelli grigi, gli daresti al massimo una quarantina d’anni.
«Quarant’anni? Ai domiciliari – scherza lui – anzi ai lavori forzati in campagna. Ma per me non sarebbe una prigione, la campagna, sarebbe una gioia. Anzi, mi pento di non aver fatto prima questo passo».
Quale passo?
Presto detto.
Arnone, ingegnere, laurea a pieni voti al Politecnico di Torino, a un certo punto ha deciso di staccare la pergamena dal muro e conservarla in un cassetto. Libero da impegni scolastici (ha insegnato fino a qualche anno fa Matematica nelle scuole Medie) ha invece tirato fuori gli scarponi e si è fiondato nella ridente e trascurata tenuta di famiglia. Quella che fu di papà Salvatore, benestante agricoltore che voleva il figlio ingegnere, e che lo invogliò a frequentare il prestigioso Politecnico.
Solo che Angelo, l’ingegnere, quella campagna non l’ha mai dimenticata. E c’è tornato.
Coinvolgendo nell’impresa il figliolo, che di nome fa Salvatore, come il nonno. Così, una decina d’anni fa, nasce l’azienda Vini Arnone. Un’ascesa basata sulla qualità, un’iperbole se forse l’avessero raccontata all’interessato prima che la produzione iniziasse. E invece tutto è diventato realtà: dai filari di viti di Gela alla tavola del papa.
L’ingegnere su questa storia del papa glissa. Forse lo fa per modestia o per non tirare in ballo chi, colpito dalla qualità dei suoi vini, decise di farne omaggio qualche mese fa alle cantine vaticane. Pare sia stato un influente sacerdote, con buoni appoggi nella gerarchia vaticana.
Cmq, lui, Arnone, da buon tecnico al gossip preferisce la sostanza. In questo caso i suoi vini.
Come il «Secco di Muscatedda», un bianco 14 gradi vinificato in purezza. Particolarissimo. Perché?
«La muscatedda – racconta Arnone – è una vite antica, che veniva piantata in pochi esemplari dagli agricoltori d’un tempo. La usavano in piccole dosi per tagliare altri vini. La mischiavano al Nero d’Avola per arricchire il prodotto finale. Io ho voluto sperimentare. Ho chiesto a vari piccoli produttori di fornirmi le loro muscatedde. C’era gente che voleva espiantare il vigneto e mi facevo avanti. In pochi anni sono riuscito a creare un intera produzione di questo particolarissimo vitigno. E oggi è il nostro prodotto d’eccellenza».
Mai un concorso, in quasi dieci anni, mai un Vinitaly, mai una gioia? Perché?
Arnone ha staccato la laurea dal chiodo, ma mica ha perso la razionalità logica tipica di chi fa il mestiere di ignegnere. No. Ha preferito badare al sodo.
«Qui – dice – quando sono tornato, deciso a realizzare il vigneto, era tutto in abbandono. I terreni un acquitrino. Oggi sembra un paradiso, ma prima era una specie di palude».
E lui che oltre a essere ingegnere è pure un figlio affettuoso, legato alla memoria di papà, ha pensato: «Non si dica mai che il podere di Totò Arnone vada perso o finisca in abbandono».
Così oltre agli scarponi ha indossato la tuta da lavoro. E ha pure impugnato la vanga.
In pochi mesi ha bonificato l’acquitrino trasformandolo in terreno fertile. Ha dato una sistemata al caseggiato e comprato le attrezzature.
E lo Stato, aiuta? No, anzi.
«Qualche problema – dice – ce lo hanno creato, permessi qua, autorizzazioni là… ma io ho la testa dura e sono andato dritto per la mia strada. Oggi questo è il risultato».
Già, Stato, burocrazia, mai dalla parte giusta. Eppure se Arnone fosse nato in territorio di Franciacorta o Brunello? Tappeti rossi. Qua invece vige la legge della diffidenza.
Ma lui, oltre a mettere su l’azienda, ha creato il posto di lavoro al figliolo e braccio destro, a tre operai assunti e ingaggiati e a vari braccianti stagionali. Ha fatto solo del bene.
Ingegnere, chi glie’ha fatto fare? Pensione, vita discretamente agiata, non sarebbe stato più semplice comprare una canna da pesca o dedicarsi alla famiglia?
«Lei forse non capisce – dice con un sorriso che taglia in due la faccia – io amo questo posto e amo quello che faccio».
Ci chiede di seguirlo nella cantinetta, dove riposano i suoi gioielli, i vini imbottigliati, gemme dai colori lucenti e dal gusto accattivante.
E così oltre al «Secco di Muscatedda», scopriamo che l’ingegnere ha in produzione anche altri tre bianchi: Insolia, Grillo, Trebbiano. E due rossi: Nero d’Avola e Sirah. Ai quali spera di aggiungere presto anche il Cerasuolo.
Produce e sperimenta, l’ingegnere. Assieme al figlio hanno deciso di produrre un olio di qualità. E mandorle.
«Ma lei di olio se ne intende? – ci domanda, ovviamente prendendoci un po’ in giro – Lo sa che il migliore olio d’oliva d’Italia si produce in questa zona della Sicilia? Io ho girato il Paese. Ho vissuto tanti anni a Torino. Ho viaggiato. E l’olio d’oliva che ho assaggiato in questa zona di Gela non l’ho mai trovato da nessuna parte».
Ma allora, Arnone, ci spieghi: il vino del papa, l’olio del vescovo… eppure perché a queste eccellenze non corrisponde altrettanta ricchezza?
«Non glielo lascio dire – ribatte – perché ci sono molte aziende locali che producono ottimi vini. E alcune di loro riescono a commercializzarli con discreto successo. Credo sia una buona base di partenza».
In zona, infatti, ci sono altri produttori: Casa di Grazia, Rocco Cocchiaro, Rosario Catalano, Elio Romano, Carmelo Ventura (non vorremmo dimenticare o trascurare qualche azienda. Nel caso, scriveteci a redazione.today24@gmai.com e sarà un piacere inserirle).
Poi è Salvatore, Arnone junior, a prenderci per mano e guidarci nel suo regno.
Silos in acciaio, tini generazione 2.0, macchine che eseguono la vinificazione, dalla sgrappolatura alla fermentazione del mosto.
«Tutto – dice Salvatore Arnone – viene eseguito secondo tradizione, un controllo rigido dei processi produttivi».
Come nel caso delle temperature, che ci spiega, non devono mai superare i 23 gradi per il rosso e 15 per il bianco.
E qui la vendemmia è una festa. L’azienda Arnone si trasforma in un baglio dei primi anni Venti, quando c’era nonno Totò a sovrintendere tutto.
E dove i bambini, figli di operai dell’azienda, amici, vicini, giocano e si rincorrono nel piazzale, mentre l’aria si fa densa di profumi magici.
Quei profumi e quei sapori finiti di recente sulla tavola del papa.