Gela, carabiniere sequestrato e ucciso nel 1987. Omicidio commesso con metodo mafioso
di Redazione
L’omicidio di Pier Paolo Minguzzi, carabiniere di leva e studente universitario ravennate, ucciso nel 1897 in provincia di Ferrara a soli 21 anni, fu “di stampo mafioso”, ossia, ideato e compiuto come un “classico esempio di lupara bianca”. Lo riportano le motivazioni della sentenza pronunciata dal presidente della Corte d’Assise di Ravenna, Michele Leoni, per l’omicidio del giovane carabiniere figlio di una famiglia di imprenditori ortofrutticoli di della Romagna, sequestrato e ammazzato la notte tra 20 e 21 aprile di 35 anni fa mentre rincasava dopo avere riaccompagnato la fidanzata durante una breve licenza pasquale. Il corpo del ragazzo – come riportato dalla stampa locale – era riaffiorato nel Po di Volano (Ferrara) il primo maggio successivo: i suoi rapitori lo avevano incaprettato e zavorrato a una pesante grata metallica. E, pur sapendolo già morto, avevano continuato a chiedere alla famiglia un riscatto da 300 milioni di lire. L’inchiesta, aperta contro ignoti, era stata archiviata nel settembre 1996 e riaperta nel gennaio 2018 questa volta verso due ex carabinieri all’epoca in servizio alla caserma di Alfonsine: il 59enne Angelo del Dotto di Ascoli Piceno e il 58enne Orazio Tasca, originario di Gela e da anni residente a Pavia. E contro l’idraulico del paese, il 66enne Alfredo Tarroni. I tre in passato erano stati condannati, e avevano espiato le relative pene, per un taglieggio sempre da 300 milioni di lire a un altro imprenditore del posto: durante un appostamento dei carabinieri nel luglio 1987, un giovane militare originario di Caserta era stato ucciso da una pallottola sparata da uno dei tre.