Gela, i cento anni del Caffè Gagliano. L’espresso, i gelati, tante storie, personaggi. E un detto consegnato alla storia
di Redazione
Fra i centenari gelesi, che per fortuna cominciano a diventare tanti, ce n’è uno un po’ speciale. E quest’anno spegnerà le fatidiche 100 candeline: il Caffè Gagliano. Lo storico bar, che si affaccia sul corso principale, all’altezza della villa «Garibaldi» aprì al commercio nel lontano 1924, per volere di Luigi Gagliano. Aveva le terre, nonno Luigi, ma voleva anche diversificare le attività di famiglia. Così aprì il bar. Scelse un posto in cui la città iniziava a diventare periferia perché all’epoca, dopo il rione Borgo e la zona di San Giacomo, iniziavano a dipanarsi gli orti, fino a Caposoprano. Gagliano aprì i battenti nello stesso stabile in cui oggi, dopo 100 anni, il locale continua a esercitare l’attività di commercio. Incontriamo Piero, 64 anni appena compiuti, terza generazione dei Gagliano, attuale gestore del caffè.
«A quell’epoca – dice – era tutto diverso, almeno da quel che ricordo io da bambino e dai racconti tramandati da mio nonno e da mio padre», che di nome faceva Luigi, come il nonno.
«Gestivamo – racconta – anche il chiosco della villa comunale che non era del municipio ma di privati. E noi avevamo lì un secondo punto di ristoro. C’erano i tavolini ai quali uomini, famiglie, potevano consumare una bibita, una granita. O gustare un gelato». Il Caffè Gagliano offriva anche un assortimento di pasticceria, nel solco della tradizione siciliana. Dopo il nonno subentra il figlio, Luigi, papà di Piero. Passano gli anni e nella gestione del bar entra anche, Antonino, fratello di Luigi e zio di Piero. Saranno zio e nipote, ad assumere le redini del bar per diversi anni. Oggi Piero è l’unico proprietario. Depositario di tante storie e leggende legate al bar. Personaggi più o meno illustri della Gela di un tempo sono stati clienti, frequentatori. Habitué o solo di passaggio. Famiglie, signore, contadini e borghesi. Operai e professori. Uomini che dopo il lavoro si concedevano una patita a carte. Era – e lo è ancora – pure il bar dei pellegrini della processione di Maria Santissima delle Grazie. Il locale, infatti, si affaccia sul percorso iniziale dello storico corteo religioso. E a inizio luglio, tanti, tantissimi fedeli, sostano proprio nei pressi del bar o vi cercano ristoro nelle torride giornate di luglio, consumando una bevanda mentre attendono il passaggio del simulacro. Dove sorge il bar c’è anche un vicino laboratorio di gelateria e pasticceria che è sempre stato allo stesso posto. Il chiosco non è più appannaggio dei Gagliano ma tante sono le storie, i ricordi, le leggende rimaste. Legate a quegli anni.
Perfino i proverbi sono nati attorno a questa attività commerciale. In città c’è un detto: quando una persona è particolarmente testarda le si dice: «Sei più testardo del somaro di Luigi Gagliano». Perché, Piero? «Be’ – racconta – è tutto legato all’attività della terra che svolgeva mio nonno in parallelo a quella del bar. All’epoca non c’erano i trattori o le auto. In campagna si andava a piedi o in groppa al somaro. Questa umile bestia a volte veniva utilizzata per trasportare i pozzetti di gelato, i tronchetti e i pezzi duri. Dal laboratorio fino al chiosco della villa comunale. A volte, però, in maniera bizzarra e improvvisa, come è tipico di questi animali, si fermava, puntava i piedi. Faceva i capricci e si intestardiva. Così qualcuno ha coniato il detto: «Hai ‘a testa chiu dura do sceccu di Lici Jagghiano».
Oggi la clientela del quartiere è sempre fedele al Caffè Gagliano. Molti però sono emigrati, il rione pulsa meno di vita. L’area soffre un po’. Molto potrebbe divenire da una più corretta e virtuosa gestione della villa comunale, un tempo epicentro della zona.
«Durante l’ultima campagna elettorale – racconta Piero – vidi passare un candidato sindaco. Aveva un appuntamento elettorale alla villa. Gli consigliai di sbrigarsi, perché la villa alle 7 del pomeriggio chiude. Lui mi rispose risentito. Evidentemente non colse il senso della mia battuta. Mi chiedo, ma in una città a vocazione turistica, il giardino pubblico può chiudere alle 19? La villa è un bene pubblico, che meriterebbe di essere rivalutato. Gestito in maniera più oculata. Potrebbe tornare a essere il luogo di ritrovo d’un tempo, motore di una piccola economia».
Oggi la pasticceria produce meno. Ma i gelati di Gagliano restano una prelibatezza. Come nel 1924. Quando il caffè aprì per la prima volta i battenti.
Ma il gelato, all’epoca, come si produceva?
«C’era un grosso tino – racconta – e al suo interno si posizionava un pentolone in rame, che veniva girato a mano. Nell’intercapedine tra il tino e la grossa pentola si faceva scivolare il ghiaccio, acquistato in una fabbrica, sul lungomare. Così nasceva il gelato cento anni fa».
Piero ma qual è la sua specialità oltre al gelato?
«Be’ il caffè – spiega con una punta di orgoglio – abbiamo clienti che vengono perfino da altri quartieri, al mattino, per sorseggiare il nostro espresso. E sono queste piccole cose che ti appagano dei sacrifici».
Per realizzare questa intervista abbiamo dovuto impegnarci, perché Piero Gagliano è una persona gentile ma riservata. E non ama molto il clamore o gli obiettivi fotografici. Ma ci ha accolti comunque nel suo bar. Ha accettato di parlare con Today24 per raccontarci l’oggi e i tempi andati. Oggi è il bar più antico della città. Altri storici caffè hanno chiuso. E noi a Piero e ai futuri gestori auguriamo altri lustri di vita, di continuare a produrre il leggendario gelato. E magari di concedersi una bella torta, con 100 candeline, da condividere con i clienti affezionati del bar. Dal passato al presente, una bella storia che si ripete. Buon compleanno Caffè Bar Gagliano.