Il futuro del gas naturale in Italia passa per il progetto di Gela e la messa in esercizio dei giacimenti Argo e Cassiopea. Ma ci vorrà una raffica di deroghe a provvedimenti già in essere, incluso il recentissimo «Pitesai» che individua le aree idonee alle attività di trivellazione, per aumentare la produzione di gas italiano e mettere un freno alla corsa delle bollette. Il piano del Governo è di giungere al più presto a un prezzo calmierato per le imprese. Non solo questo. Le oil company chiedono garanzie su tempi e ritorno degli investimenti. Il più atteso tra gli interventi strutturali contenuti nel decreto approvato venerdì scorso dal Consiglio dei ministri rischia di essere anche quello di più difficile realizzazione, appunto quello dell’area di Gela. Eni in realtà si era già mossa nel settembre scorso, avviando la costruzione dell’impianto di trattamento del gas dei giacimenti Argo e Cassiopea. ll progetto da oltre 700 milioni previsto nell’intesa del 2014 per l’area di Gela è in linea con la strategia del Cane a Sei Zampe di valorizzare il gas naturale come fonte a basse emissioni (neutralità carbonica garantita in questo caso dall’installazione di pannelli fotovoltaici per 1 Mwp). La produzione del polo gelese del gas sarebbe stimata tra 1 e 1,5 miliardi di metri cubi all’anno, ma non potrà partire prima di metà 2024: i quattro pozzi sottomarini per la coltivazione del gas infatti verranno realizzati nel 2023. Se questi sono i tempi di un progetto già autorizzato, è facile immaginare quanto ci vorrà per quelli che ancor attendono il via libera. Una delle ipotesi è ripescare le concessioni approvate ma oggetto di sospensione volontaria delle attività. Dovrà essere rispettata però la condizione di coltivabilità economica del giacimento ovvero la convenienza da parte dell’operatore a riprendere e allargare le attività sapendo poi di dover vendere il gas prodotto a prezzo inferiore a quello di mercato.