Gela: «Prigioniere in casa, senza poter scaldare neanche l’acqua per un po’ di pastina». Il racconto di tre donne sole
di Redazione
Tre donne sole, prigioniere del Covid, costrette a bere solo liquidi e un po’ di cibo freddo per quasi due giorni. Abbandonate al loro destino per colpa di una banalità. Si era finito il gas e trovandosi in quarantena, madre, figlia e nipote, tutte positive, hanno chiesto per quasi due giorni che qualcuno si recasse a sostituire loro la bombola del gas. Una storia di denuncia, ma anche di riconoscenza «verso chi – raccontano a Today24 – è venuto a risolverci il problema». Siamo in uno dei quartieri popolari di Gela, una delle circa duecento famiglie in quarantena. Finisce la bombola del gas e nessuno aiuta le tre donne, la capofamiglia e la figlia, entrambe vedove, la nipote ancora minorenne.
«Non potevamo – dicono – neppure scaldarci l’acqua per la camomilla, né preparare un po’ di pastina alla ragazza».
Iniziano le telefonate: prima al fornitore, il quale è disposto (giustamente) a portare la bombola e lasciarla davanti casa. Ma chi la monta? Nessuno può avvicinarsi all’abitazione, dove vivono appunto tre donne in quarantena. Peraltro la capofamiglia è sofferente. La figlia chiama l’Asp, il 118, le associazioni di volontariato. Nessuno pare abbia la competenza. Si rivolgono ai Vigili del fuoco, i quali, ovviamente, spiegano di non avere questi compiti e di trovarsi in piena emergenza incendi.
Al «coro di supplica» si unisce una cugina, anche lei positiva e in quarantena, che vive in altro quartiere, e decide di patrocinare il caso mettendo mano al telefono.
Sollecita, anzi prega, i Vigili del fuoco. Un capo reparto decide di inviare una squadra: «Non è nostro compito, rispondiamo a una richiesta con umanità»; nel frattempo arriva una chiamata per emergenza incendio e la squadra torna indietro.
Nella casa, con 35 gradi, e senza possibilità di cucinare da quasi due giorni, lo sconforto ha il sopravvento.
Telefonano di nuovo ai Vigili del fuoco, i quali, stavolta, con gli accorgimenti del caso, entrano nell’abitazione e montano la bombola.
«Dobbiamo – dicono – ringraziare i valorosi Vigili del fuoco di Gela, ci sentivamo in abbandono. Ma abbiamo deciso ugualmente di raccontare questa storia perché non accada ad altri. Serve che qualcuno, dall’Asp o dalla Protezione civile comunale, metta a disposizione un servizio per le piccole emergenze».
Come quella accaduta a una giovane mamma, marito lavora fuori, lei sola con un bimbo piccolo. Entrambi positivi e in isolamento. Mercoledì le si è bloccato il condizionatore. E ha dovuto trascorrere due giorni nel caldo torrido, a combattere con la tosse sua e del figlioletto, prima che qualcuno l’aiutasse. In questo caso un riparatore gentile e volenteroso, che si è prestato a una lunga videotelefonata, al termine della quale ha saputo far ripartire il motore del clima. Storie di disagio, ma anche di umanità. In una città investita dal Covid.