Intreccio tra mafia, politica e massoneria. La procura generale sollecita 10 condanne
di Redazione
Dieci condanne sono state sollecitate dal procuratore generale, Maria Teresa Maligmo, nel processo d’appello scaturito dall’inchiesta sulla massoneria deviata di Licata Halycon – Assedio.
Un intreccio di mafia, politica e massoneria deviata nell’Agrigentino, quello scoperchiato dai carabinieri del comando compagnia di Licata che, in primo grado, era costato 8 condanne e 3 assoluzioni. La pena più alta, vent’anni, era stata inflitta ad Angelo Occhipinti, 66 anni, già condannato per mafia ed estorsione, ritenuto il nuovo capo della famiglia di Licata; dodici anni a Raimondo Semprevivo, 48 anni, imprenditore edile, condannato con l’accusa di essere il braccio destro del boss.
Quest’ultimo era accusato, oltre che di associazione mafiosa, anche di un episodio di tentata estorsione in concorso con lo stesso Occhipinti. Dodici anni anche a Giovanni Mugnos, bracciante agricolo, 54 anni, ritenuto “l’alter ego” di Giovanni Lauria, altro esponente di spicco di Cosa Nostra di Licata, imputato in un altro stralcio. Dieci anni e otto mesi a Giuseppe Puleri, 41 anni, imprenditore, ritenuto componente della famiglia mafiosa di Campobello di Licata; dieci anni e otto mesi al farmacista Angelo Lauria, 46 anni, nipote di Giovanni. Stessa pena a Lucio Lutri, 61 anni, funzionario della Regione Sicilia, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Lutri, in particolare, “grazie alle rete relazionale a sua disposizione quale Maestro venerabile della loggia massonica “Pensiero ed Azione” di Palermo, avrebbe “acquisito e veicolato agli appartenenti alla famiglia mafiosa informazioni riservate circa l’esistenza di attività di indagine a loro carico” e sarebbe intervenuto per favori di altra natura.
Dieci anni e otto mesi a Giacomo Casa, 65 anni, pastore, ritenuto uno dei membri del clan licatese. Due anni e quattro mesi per l’elettrauto Marco Massaro, 36 anni, accusato di favoreggiamento aggravato per avere rivelato a Mugnos dell’esistenza di microspie all’interno della sua auto. Tre gli imputati assolti in primo grado: innanzitutto Vito Lauria, 50 anni tecnico informatico, massone, figlio del boss Giovanni, imputato nello stralcio ordinario. Assoluzione pure anche per Angelo Graci, 33 anni, ritenuto gregario del clan che avrebbe avuto spesso il compito di presidiare i luoghi dei summit. Assolto, in primo grado, infine, anche Giuseppe Galanti, 62 anni: il pm ne aveva chiesto la condanna a dieci anni e otto mesi in qualita’ di cassiere della famiglia mafiosa. Il verdetto che lo scagiona, non impugnato dalla procura, è diventato definitivo. Per gli altri dieci imputati il processo di secondo grado, è entrato nel vivo davanti ai giudici della terza sezione della Corte di appello di Palermo. Il procuratore generale ha chiesto la conferma del verdetto di condanna per gli 8 riconosciuti colpevoli in primo grado nonché la condanna a 10 anni e 8 mesi di Vito Lauria e Graci. Prossima udienza il 4 aprile.